“Arrivare laddove nessuna stagione di Discovery è mai giunta prima”. Parafrasando l’incipit della serie classica di Star Trek, si può effettivamente dire che se la prima stagione abbia rappresentato una linea di rottura con il passato e la seconda ha ricordato di essere un prodotto Star Trek più che altro per i personaggi comprimari che si sono temporaneamente aggiunti (Spock e Pike), la terza probabilmente è la stagione di Star Trek: Discovery che più riavvicina la serie ai canoni dell’universo creato da Gene Roddenberry.

Discovery 3 – Un nuovo inizio
Al termine della seconda stagione avevamo lasciato Michael Burnham, con la tuta dell’Angelo Rosso, compiere insieme alla sua Discovery un salto nel futuro di circa novecento anni. Ora sia lei che i suoi compagni di viaggio si ritrovano a fronteggiare una realtà completamente diversa da quella lasciata alle spalle: la Federazione dei Pianeti Uniti è ridotta a brandelli a causa di un evento catastrofico (il “Grande Fuoco”) che ha portato all’esplosione del dilitio presente in tutte le navi dotate di motore a curvatura, rendendo così difficile il mantenimento dei rapporti tra pianeti distanti. Tutto ciò ha portato inevitabilmente all’ascesa di corrieri disonesti e ad un senso generale di illegalità nella galassia, che si concretizza nella minaccia incarnata da Osyraa, leader della Catena Smeraldo. In questo contesto, la Discovery cerca di risolvere il mistero del Grande Fuoco al fine di consentire alla Federazione di riprendere la centralità del suo ruolo.

La Recensione: perché è una stagione convincente
Ma cosa ha determinato il riscontro, tutto sommato positivo, della terza stagione?
A conti fatti, il salto nel futuro di 930 anni può essere considerato la salvezza di Star Trek: Discovery, dal momento che ne ha sancito un nuovo inizio e ha rilanciato la serie anche per la produzione di altre stagioni (a partire dalla quarta, già in lavorazione): alla fine della seconda, il balzo in avanti sembrava essere più che altro un salto nel buio, anche per la stessa produzione dello show e per questo sinceramente aveva lasciato molte perplessità sul prosieguo della serie.
Invece, esso ha di fatto contribuito a risolvere il problema più grande di Discovery, eliminando le trappole dell’essere un prequel: proprio il fatto di aver ambientato la prima stagione un decennio prima delle avventure della serie classica aveva creato non pochi problemi e si è rivelato alla fine come un limite invalicabile.
Dunque, la riambientazione nel futuro della serie ha soprattutto permesso a Michael Burnham e compagni di smarcarsi dai confronti con le altre serie e soprattutto dagli “incastri” di vicende già narrate (e cronologicamente già avvenute), oltre dal rimanere imbrigliati negli anacronismi tecnologici. Non va dimenticato che Discovery appare pur sempre inevitabilmente più avanzata (anche in termini visivi) della serie classica, pensata e realizzata a metà degli anni ‘60.
Il salto di 900 anni ha quindi permesso alla serie di avere una tela bianca su cui dipingere il proprio futuro, guardando gli eventi dell’universo trekkiano dopo il loro accadimento e pertanto permettendosi il lusso di immaginare quali siano state le conseguenze nei secoli successivi (come nel caso della riunione di Vulcaniani e Romulani, grazie all’opera sottotraccia di Spock).
Il balzo in avanti ha poi permesso alla serie di resettare anche alcune storture iniziali che volevano offrire un elemento di rottura col passato: la cupezza e l’estrema violenza offerta da un’ambientazione di guerra che poco aveva a che fare con il canone classico del franchise ha finalmente lasciato spazio ad una certa “umanità” e all’ottimismo.

Certo pur con tutti i suoi difetti ed i suoi limiti narrativi, la stagione appena conclusasi rappresenta un gradito riassaporare quei temi “classici” che hanno fatto le fortune delle precedenti serie del franchise: nel corso dei tredici episodi si torna a parlare di speranza nel futuro, di integrazione e dialogo tra le differenti razze, con un ritorno alla centralità (in questo caso da riconquistare) del ruolo aggregante della Federazione dei Pianeti Uniti. Malgrado ci si trovi ora nel futuro, riecco intrecciarsi le sorti di vulcaniani e romulani, di trill, andoriani e oroniani, specie attorno alle quali sono ruotate diverse vicende del mondo trekkiano.
Ma non solo: tornano con piacere anche le trame verticali caratterizzate dalle esplorazioni di nuovi mondi, sebbene ciò accada solo in alcuni episodi, con chiari rimandi allo stile delle prime serie create da Roddenberry, il “Grande Uccello della Galassia”.
Va sottolineato anche il maggior approfondimento dei personaggi, soprattutto nella prima parte della stagione, ed in particolare del lato “umano”: dopo il salto nel futuro, l’equipaggio della Discovery è inizialmente disorientato ed ha bisogno di tempo per adattarsi alla nuova realtà che si trova di fronte. Ecco quindi che tornano i concetti di “grande famiglia”, di unione e di cooperazione, con il capitano (in questo caso Saru) a ricoprire l’importante ruolo di collante del gruppo.

Ma non solo, perché è importante anche lo sviluppo del personaggio di Michael Burnham che, per quanto ingombrante e complesso, paradossalmente ha rappresentato forse la più grande trappola potenziale dell’intero show: Burnham è quasi una versione al femminile del ribelle capitano Kirk dell’universo Kelvin, un ufficiale che ignora gli ordini e prende la situazione nelle proprie mani per il bene superiore.
Nella terza stagione, lei arriva nel futuro un anno prima dei suoi compagni della Discovery, e viene profondamente colpita da questa epoca decisamente più oscura e complicata, senza la guida della Federazione, al punto di entrare in crisi e di non sentirsi del tutto sicura di appartenere ancora alla Flotta Stellare. Ma le situazioni che affronterà successivamente la porteranno ad una crescita personale e ad un livello di consapevolezza tale che sarà inevitabile ciò che le accadrà nel finale di stagione.

Anche dal punto di vista tecnologico, lo show ritrova un certo coraggio e torna a meravigliare lo spettatore: parliamoci chiaro, chi segue Star Trek è ormai abituato alla tecnologia del 23° e del 24° secolo (sebbene sia ancora lontana anni luce da quella reale attuale), per cui immaginare una tecnologia ancora più evoluta di oltre 900 anni più avanti è stato quanto mai coraggioso ed ha decisamente portato i suoi frutti, riuscendo a trasmettere quella sensazione di meraviglia che effettivamente era mancato nelle precedenti stagioni.
Cosa non convince del tutto
Ovviamente non è tutto oro quel luccica. Quelli appena esaminati sono gli aspetti positivi che in qualche modo restano negli occhi dello spettatore dopo la visione dell’intera stagione 3. Ma sono luccichii che in qualche modo non nascondono del tutto le imperfezioni ed i limiti di una “season” che è partita alla grande e – come già accaduto in Star Trek: Picard – ha messo troppa carne al fuoco durante gli episodi intermedi, arrivando alla conclusione in maniera un po’ troppo “facilona” e sbrigativa.
E’ come essere arrivati all’apice delle montagne russe delle aspettative per poi ritrovarsi a precipitare giù velocemente attraverso espedienti poco credibili, spiegazioni – seppur fantascientifiche – comunque al limite della plausibilità e situazioni che sembravano così complicate che poi si risolte in un battibaleno.
Su tutti, resta il grande flop della scoperta di ciò che ha causato il “Grande Fuoco”, ovvero la classica montagna che partorisce il topolino che di fatto ha avuto la conseguenza di disgregare la Federazione e di gettare nell’abbandono l’intera galassia. Ma anche la piattezza di un personaggio seppur centrale come Su’kal è la soluzione molto raffazzonata di come provare a usare il motore a spore, malgrado l’assenza a bordo del tenente Stamets. Per non parlare poi del modo eccessivamente sbrigativo con cui vengono liquidati sia i concordati tra la Federazione e la Catena che le stesse sorti di Osyraa.
Insomma, la terza stagione soffre un po’ la difficoltà di dover riannodare in maniera credibile e soddisfacente i tanti fili della trama dipanati nel corso dei tredici episodi: sicuramente ne sarebbero serviti qualcuno in più per fare un lavoro ancora migliore. Ma tutto sommato offre un prodotto godibilissimo anche per i fan di vecchia data (non solo per la citazione finale con le parole del creatore del franchise) alzando ulteriormente l’asticella delle aspettative per la prossima stagione.
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